Del moderno Lusso – Vittorio Alfieri (anno 1777…)

Vittorio Alfieri in un dipinto

Pubblichiamo un estratto del libro dello scrittore Vittorio Alfieri, vissuto nel Settecento. Nel trattato della Tirannide, Capitolo X, Alfieri dedica un capitolo proprio al lusso. Eccolo Del lusso, anno 1777…

Non credo, che mi sarà difficile il provare, che il moderno lusso in Europa sia una delle principalissime cagioni, per cui la servitù, gravosa e dolce ad un tempo, vien poco sentita dai nostri popoli, i quali perciò non pensano né si attentano di scuoterla veramente. Né intendo io di trattare la questione, oramai da tanti egregj scrittori esaurita, se sia il lusso da proscriversi o no. Ogni privato lusso eccedente, suppone una mostruosa diseguaglianza di ricchezze fra’ cittadini, di cui la parte ricca già necessariamente è superba, necessitosa e avvilita la povera, e corrottissime tutte del pari. Onde, posta questa disuguaglianza, sarà inutilissimo e forse anche dannoso il voler proscrivere il lusso: né altro rimedio rimane contr’esso, che il tentare d’indirizzarlo per vie meno ree ad un qualche scopo men reo. M’ingegnerò io bensì di provare in questo capitolo; che il lusso, conseguenza naturalissima della ereditaria nobiltà, nelle tirannidi riesce anch’egli una delle principalissime basi di esse; e che dove ci è molto lusso non vi può sorgere durevole libertà; e che dove ci è libertà, introducendovisi moltissimo lusso, questo in brevissimo tempo corromperla dovrà, e quindi annullarla.

Il primo e il più mortifero effetto del privato lusso, si è; che quella pubblica stima che nella semplicità del modesto vivere si suole accordare al più eccellente in virtù, nello splendido vivere vien trasferita al più ricco. Né d’altronde si ricerchi la cagione della servitù, in tutti quei popoli, fra cui le ricchezze danno ogni cosa. Ma pure, la uguaglianza dei beni di fortuna essendo presso ai presenti europei una cosa chimerica affatto, si dovrà egli conchiudere che non vi può essere libertà in Europa, perché le ricchezze vi sono tanto disuguali? e possono elle non esserlo, atteso il commercio, e il lucro delle pubbliche cariche? Rispondo; che difficilmente vi può essere o durare una vera politica libertà, là dove la disparità delle ricchezze sia eccessiva; ma che pure, due mezzi vi sono per andarla strascinando (dove ella già fosse allignata) in mezzo a una tale disparità, ancorché il lusso sterminatore tutto dì la libertà vi combatta. Il primo di questi mezzi sarà, che le buone leggi abbiano provveduto, o provvedano, che la eccessiva disuguaglianza delle ricchezze provenga anzi dalla industria, dal commercio, e dall’arti, che non dall’inerte accumulamento di moltissimi beni di terra in pochissime persone, alle quali non possono questi beni pervenire in tal copia, senza che infiniti altri cittadini non siano spogliati della parte loro. Con un tale compenso le ricchezze dei pochi non occasionando allora la povertà totale dei più, verrà pure ad esservi un certo stato di mezzo, per cui quel tal popolo sarà diviso in pochi ricchissimi, in moltissimi agiati, ed in pochi pezzenti. Tuttavia, questa divisione non può quasi mai nascere, o almeno sussistere, se non in una repubblica; in vece che la divisione in alcuni ricchissimi, e in moltissimi pezzenti, dee nascere, e tutto dì si vede sussistere, nelle tirannidi, le quali di una tale disproporzione si corroborano. Il secondo mezzo di rettificare il lusso, e diminuirne la maligna influenza sul dritto vivere civile, sarà di non permetterlo nelle cose private, e d’incoraggirlo e onorarlo nelle pubbliche. Di questi due mezzi le poche repubbliche d’Europa si vanno pur prevalendo, ma debolmente ed invano; come quelle che sono corrottissime anch’esse dal fastoso e pestifero vivere delle vicine tirannidi. E questi altresì sono i due mezzi, che i nostri tiranni non adoprano, e non debbono adoprar mai contro al lusso; come quelli che in esso ritrovano uno dei più fidi satelliti della tirannide. Un popolo misero e molle, che si sostenta col tessere drappi d’oro e di seta, onde si cuoprano poi i pochi ricchi orgogliosi; di necessità un tal popolo viene a stimar maggiormente coloro, che più consumandone, gli dan più guadagno. Così, viceversa, il popolo romano che solea ritrarre il suo vitto dalle terre conquistate coll’armi, e fra lui distribuite poi dal senato, sommamente stimava quel console o quel tribuno, per le di cui vittorie più larghi campi gli venivano compartiti.

Essendo dunque dal privato lusso sovvertite in tal modo le opinioni tutte del vero e del retto; un popolo, che onora e stima maggiormente coloro, che con maggiore ostentazione di lusso lo insultano, e che effettivamente lo spogliano, benché in apparenza lo pascano; un tal popolo, potrà egli avere idea, desiderio, diritto, e mezzi, di riassumere libertà?

E que’ grandi, (cioè chiamati tali) che i loro averi a gara profondono, e spesso gli altrui, per vana pompa assai più, che per vero godimento; quei grandi, o sia ricchi, a cui tante superfluità si son fatte insipide, ma necessarie; que’ ricchi in somma, che a mensa, a veglia, a’ festini, ed a letto, traggono fra gli orrori della sazietà la loro effemminata, tediosa, ed inutile vita; que’ ricchi, potrann’ eglino, più che la vilissima feccia del popolo, innalzarsi a conoscere, a pregiare, desiderare, e volere la libertà? Costoro primi ne piangerebbero; e assumere non saprebbero esistenza nessuna, se non avessero un intero ed unico tiranno, che perpetuando il dolce loro ozio, alla lor dappocaggine comandasse.

Inevitabile dunque, e necessario è il lusso nelle tirannidi. E crescono in esse tutti i vizj in proporzione del lusso, che è il principe loro; del lusso, che tutti li nobilita, coll’addobbarli; che a tal segno confonde i nomi delle cose, che la disonestà dei costumi chiamasi fra’ ricchi, galanteria; l’adulare, un saper vivere; l’esser vile, prudenza; l’essere infame, necessità. E di questi vizj tutti, e dei molti più altri ch’io taccio, i quali hanno tutti per base, e per immediata cagione il lusso, chi maggiormente ne gode, chi ne ricava più manifesto e immenso il vantaggio? I tiranni, che da essi ricevono, e per via di essi in eterno si assicurano, il pacifico ed assoluto comando.

Il lusso dunque (che io definirei; L’immoderato amore ed uso degli agj superflui e pomposi) corrompe in una nazione ugualmente tutti i ceti diversi. Il popolo, che ne ritrae anch’egli qualche apparente vantaggio, e che non sa e non riflette, che per lo più la pompa dei ricchi non è altro che il frutto delle estorsioni fatte a lui, passate nelle casse del tiranno, e da esso quindi profuse fra questi secondi oppressori; il popolo, è anch’egli necessariamente corrotto dal tristo esempio dei ricchi, e dalle vili oziose occupazioni con che si guadagna egli a stento il suo vitto. Perciò quel fasto dei grandi che dovrebbe sì ferocemente irritarlo, al popolo piace non poco, e stupidamente lo ammira. Che gli altri ceti debbano essere corrottissimi dal lusso che praticano, inutile mi pare il dimostrarlo.

Corrotti in una nazione tutti i diversi ceti, è manifestamente impossibile che ella diventi o duri mai libera, se da prima il lusso che è il più feroce corruttore di essa, non si sbandisce. Principalissima cura perciò del tiranno debb’essere, ed è, (benché alle volte la stolta ostentazione del contrario ei vada facendo) l’incoraggire, propagare, ed accarezzare il lusso, da cui egli ritrae più assai giovamento che da un esercito intero. E il detto fin qui, basti per provare che non v’ha cosa nelle nostre tirannidi, che ci faccia più lietamente sopportare e anche assaporare la servitù, che l’uso continuo e smoderato del lusso: come pure, a provare ad un tempo, che dove radicata si è questa peste, non vi può sorgere od allignar libertà.

Si esamini ora, se là, dove già è stabilita una qualunque libertà, possa allignare il lusso; e qual dei due debba cedere il campo. S’io bado alle storie, in ogni secolo, in ogni contrada, vedo sempre sparire la libertà da tutti quei governi che han lasciato introdurre il lusso dei privati; e mai non la vedo robustamente risorgere fra quei popoli, che son già corrotti dal lusso. Ma, siccome la storia di tutto ciò che è stato non è forse assolutamente la prova innegabile di tutto ciò che può essere; a me pare, che alla disuguaglianza delle ricchezze nei cittadini non ancora interamente corrotti, in quel brevissimo intervallo in cui possono essi mantenersi tali, i governi liberi non abbiano altro rimedio da opporre più efficace che la semplice opinione. Quindi volendo essi concedere a queste mal ripartite ricchezze uno sfogo che ad un tempo circolare le faccia, e non distrugga del tutto la libertà, persuaderanno ai ricchi d’impiegarle in opere pubbliche; onoreranno questo solo loro fasto, annettendo un’idea di disprezzo a qualunque altro uso che ne facessero i ricchi nella loro privata vita, oltre quella decenza e quegli agj ragionevoli, richiesti dal loro stato, e compatibili colla pubblica decenza. I liberi governi persuaderanno ad un tempo agli uomini poveri, (non intendo con ciò dire, ai pezzenti) che non è delitto né infamia l’esser tali; e lo persuaderan facilmente, coll’accordare a questi non meno che agli altri l’adito a tutti gli onori ed uffizj. E non per insultare alla miseria escludo io principalmente i necessitosi; ma perché costoro, come troppo corrottibili, e per lo più vilmente educati, non sono meno lontani dalla possibilità del dritto pensare e operare, di quel che lo siano, per le ragioni appunto contrarie, i ricchissimi.

Ma queste saggie cautele riusciranno pur anche inutili a lungo andare. La natura dell’uomo non si cangia; dove ci sono ricchezze grandi e disugualmente ripartite, o tosto o tardi dee sorgere un gran lusso fra i privati, e quindi una gran servitù per tutti. Questa servitù difficilmente da prima si può allontanare da un popolo dove alcuni ricchissimi siano, e poverissimi i più; ma quando poi ella si è cominciata a introdurre, provato che hanno i ricchissimi quanto la universal servitù riesca favorevole al loro lusso, vivamente poi sempre si adoprano affinch’ella non si possa più scuoter mai.

Sarebbe dunque mestieri, a voler riacquistare durevole libertà nelle nostre tirannidi, non solamente il tiranno distruggere, ma pur troppo anche i ricchissimi, quali che siano; perché costoro, col lusso non estirpabile, sempre anderan corrompendo se stessi ed altrui.

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